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La rete ha qualcosa di magico. Connette, contamina, diffonde. Confonde. Questo è un nodo fra tanti, per aggiungere magia a magia.


7.4.04


Ma allora provochiamo?


Sono sicura che (anche nel mondo blog) vi sarà chi queste cose le ha scritte, formulate e rimasterizzate ben meglio di me - e però, a tastoni come sempre, provo a comunicare qualche sensazione. Leggo in giro da più parti della ricerca di semplicità, chiarezza, verità 'a portata di mano' (o 'in pillole') - e del senso di disorientamento che ci provoca questa fatica di Sisifo (sulla frustrazione non mi fermo, ma immagino che sia chiaro cosa intendo). Che il mondo in cui viviamo sia di incredibile complessità mi pare dato innegabile. Che la nostra comunicazione abbia dei limiti, altrettanto. Lo stesso deve dirsi quanto al fatto che non sempre siamo sicuri circa le nostre emozioni e reazioni in date circostanze (e la mancanza di sicurezza provoca una ulteriore sfasatura nella comunicazione). Si potrebbe insomma partire dal dato della nostra (soggettiva) inadeguatezza nel percepire e nel comunicare (per qualche riflessione 'semplice' sul punto di vista relativista, si rinvia - come prima informazione - qui). Il movimento successivo sta, appunto, nel dinamismo che questo provoca: la ricerca del chiarimento, della comunicazione, il tentativo di arrivare a un livello più alto di comprensione. E' appunto questo dinamismo che muove i miei interrogativi (che mi sembra si incrocino con riflessioni che trovo soprattutto - ma non solo - chez Liza e Caterina): se siamo sicuri della limitatezza e necessaria incompiutezza della nostra prospettiva, perché continuiamo a cercare, a chiedere, a tentare di completare (e in ultima analisi a complicare) il nostro quadro informativo? Non è appunto questo nostro sentirci incompiuti, limitati, inadeguati, che ci conduce a tentare di uscire dai nostri limiti, di sbalordire (se possibile) noi stessi, attraverso un processo conoscitivo che conduce sempre a risultati imprevisti? Non la amo, ma alcuni passaggi del suo Elogio dell'imperfezione (Levi Montalcini, 1987) hanno un quid di innegabilmente sensato: l'imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello umano. [...] Ritengo che l'imperfezione nell'eseguire il compito che ci siamo prefissati sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione. [...] Le mutazioni derivano dall'imperfezione e proprio l'uomo e tutti i vertebrati sono imperfetti rispetto agli invertebrati. Dagli anfibi all'homo sapiens, il cervello si prestava ad un miglioramento, ad un cambiamento: negli invertebrati il cervello era così perfetto che non si è prestato al gioco delle mutazioni. I trilobiti vissuti centinaia di milioni di anni fa non sono essenzialmente diversi dagli insetti, dagli artropodi di oggi [...] perché era così perfetto quel piccolo cervello dell'invertebrato, che non si prestava al gioco dell'evoluzione.. Ovviamente queste non sono risposte, ma solo nuove domande, aggiungo ricerca a ricerca ...