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La rete ha qualcosa di magico. Connette, contamina, diffonde. Confonde. Questo è un nodo fra tanti, per aggiungere magia a magia.


30.7.06


Annunzieheit



Il 'gioco' dell'estate riparte. Cito dagli autori dell'iniziativa: Attendiamo che tutti siano in vacanza, disconnessi, per dedicarci, come ogni anno, al nostro tema preferito: la ricerca dell’essenziale. Dal 1° agosto tutti a metter giù i nostri essentialia, per partecipare alla nuova edizione (2006) di Scrivere l'essenziale. Al mio amico Mat ho promesso di diffondere. Diffondete anche voi (e scrivete).

Per chi se lo chieda: Ecatina non va in vacanza (ha già viaggiato abbastanza quest'anno), anche se di tanto in tanto la si troverà sulle spiagge dello Jonio o a ballare la pizzica in posti come Melissano, Diso, Cutrofiano o Strudà. La scrittura però, da queste parti, tornerà un po' più - come dire? - 'essenziale' ...




Effetto jet lag (4)



Avrei ancora un bel po' da scrivere. Del Campus di Berkeley dove si aggirano scoiattoli a frotte (grigi, gli americani son grigi) e (pare) anche puma (con comiche istruzioni per l'uso per affrontarli). Delle ragazzone americane alle feste con microgonne e prosciutti al vento (altro che The O. C.). Degli skater che provano a usare il loro attrezzo anche in salita. Delle vedute fantastiche dei gabbiani formato gigante sul Pacifico dei campi da golf con la città alle spalle di Alcatraz e Sausalito. Mi fermo, però. L'effetto jet lag è finito, ed Ecatina è di nuovo a casa, con le beghe di sempre, Pucchettino stravaccato ai suoi piedi, le pile di fotocopie da gestirsi, gli amici che dan gioie e dolori. Navigando a vista come sempre. Ché - si sa - navigare necesse.


28.7.06


Effetto jet lag (3)


La gentilezza della gente è quel che più sbalordisce. Nei bus, nei tram, nei locali. Ovunque entri per un'informazione, ti trattengono a chiacchierare. Ed è un'America dai ritmi lenti (ma costanti), questa, dove la frenesia di Napoli o Roma (o anche Colonia) son lontane, dove quasi ti si rinvia al tuo Salento. Quel che ti sbilenca è la disponibilità umana, in un paese come questo dominato dalla paura. Ecatina e un'amica siedono fuori un locale in attesa del loro Falafel. Passa uno spostato che ci aggredisce verbalmente, va oltre, ritorna e prende a sberle l'ombrellone del nostro tavolo. Ecatina si ghiaccia e prova a tranquillizzare l'amica: "vedrai che ora va' via", convinta comunque di non poter chiedere aiuto ad alcuno dei vicini - "farebbero finta di nulla". Non termina neanche la frase che dal tavolo accanto si è già alzato un distinto signore californiano che le rassicura: chiamo io la polizia, col cellulare già all'orecchio. L'America è un grande paese, e questa per me una grande lezione.


26.7.06


Effetto jet lag (2)



Proprio vero che siamo italiani. Il tutto inizia con un lungo dibattito, la domenica mattina, se goderci Berkeley (dove siamo collocati), o scappare a Frisco. L'ha vinta la fazione San Francisco e a sera dovrò dirmi: meno male. La BART, il trenino che collega le maggiori città della Baia, la domenica ha corse meno frequenti e ci tocca cambiare. Solo per capire come si fa il biglietto e qual è il percorso da seguire occorre un diploma triennale in astrofisica. Io smanetto senza seguire le istruzioni, come sempre, e mi ritrovo col biglietto (più caro del necessario, ma poi scoprirò che si può usare per più corse). Digito anche per gli altri, e finalmente siamo in viaggio. Cartelli ovunque, tutto quel che non è consentito fare nelle aree di sosta e nei treni. Un collega osserverà sarcastico che fra i divieti (don't eat, don't pet, don't trink, etc.) non è elencata la minzione (ma sospetto si applicherebbe un'interpretazione estensiva). E' tutto leggi federali che prescrivono, normizzano, insistono. Per converso nel treno ci attaccan subito bottone i locali, tutti ipergentili, chiedono dove andiamo chi siamo cosa vogliamo, raccontano di cose da vedere e loro storie (un ispanico consiglia l'Embarcadero, e dissuade da Alcatraz, una mamma con neonato in braccio suggerisce percorsi alternativi). E Frisco è tutta una sorpresa. I famosi tram che hanno la precedenza su tutto, semafori rossi e pedoni, e quasi mi falcerebbero assieme al collega (ché noi - si sa - attraversiamo all'itagliana). Tripudi di negozi e quartieri diversissimi l'un l'altro. Chinatown e Little Italy, Fisherman's Warf , Russian Hill e Lombard Street. Tutto è nuovo con sapore di consueto, elementi ispanici e coloniali che si fondono con riletture monumentali di liberty e gotico. Il mio amico/collega che ci parla di Frank Lloyd Wright e di come rompesse ... gli schemi con le sue architetture libere da convenzioni. E mille input a bombardare naso occhi orecchie (e anche i sensi, ché il biondo alto due metri sui rollerblades vale da solo la gita). L'America è un grande paese, anche quando hai le caviglie gonfie e la testa che gira dal tanto vedere. O magari appunto per questo.


Effetto jet lag (1)



Finalmente ci sei. Hai toccato il suolo degli States. Il viaggio, interminabile, dodici ore di cui una sulla pista di decollo a Heathrow a rullare insipienti, due a chiacchierare con gli amici ritrovati, tre a dormicchiare stretta nel tuo angolino al finestrino, qualche altra col naso incollato all'oblò a cercare di carpire i contorni della Groenlandia e quelli dell'Alaska. E ora. Controlli controlli controlli - divieti imperativi comandi - e ancora controlli, in un paese ossessionato dalla sorveglianza. Dove se resta incustodita due minuti una borsa arriva un esagitato della security nel panico più completo. Dove nel guardarti il passaporto ti prendono le impronte e pure le pupille (e ti fan levar gli occhiali, mai sia l'impronta venisse sfocata). Dove le videocamere sono ovunque. Dove nei grandi magazzini e nei ristoranti c'è, in un angolo discreta, la guardia armata. E pure. L'autista del pullmino dall'aereoporto guida senza cintura telefona senza auricolare e sfonda tutti i limiti di velocità - tanto da crederti svizzera, al confronto. Al ristorante pakistano il cameriere porta i piatti urlando e li sbatte sul tavolo con le salsine a tracimare ovunque. Gli spostati passeggiano per strada apostrofandoti, soffiandoti all'orecchio e biascicando per un quarter. L'America è un grande paese, non c'è che dire. Lo stordimento che mi trascino addosso non è che conferma.

Mi rendo conto bene solo ora. Ecatina e controllo son due determinazioni che si oppongono, i due estremi della non contraddizione. Forse non ci voleva la California per realizzarlo, ma tant'è ...



18.7.06


Da oltreoceano



Pensavo fosse un viaggio come un altro. Che non mi avrebbe cambiata. Invece sono qui da due giorni e ho accumulato esperienze e impressioni per un anno. Come dice un grande saggio (per caso o per fortuna con me in questa avventura) è dalla distanza che si vedono meglio le cose. Vero, non posso che sottoscrivere. Una serie di piccoli affanni, insidiosi e picchiettanti nell'immediato della partenza, sono come svaniti senza ricordo. Una sicurezza nuova mi sorregge. Magari domani sarà già evaporata, per fare luogo ai dubbi di sempre. Eppure è come sapessi qualcosa di nuovo. E disperatamente vorrei trattenere questi cocci di conoscenza. Una cosa è sicura. Un incontro e una sensazione mi hanno aiutato in una scelta. Forse provocherà tristezza, al ritorno. Ma è fatta. Ed Ecatina, si sa, se decide non si guarda alle spalle.

Alle spalle mi guardo, in ogni caso, pensando all'avvolgente calore di Sua Saltità e della dolce Buba. Un regalo splendido, prima della partenza. Continuo a sentirmi una donna fortunata.



12.7.06


Assenze (serene)


Ve ne siete accorti, credo, della mia presenza intermittente. Non è un lento distacco dal blog (almeno non credo). Ma ho sempre più bisogno di calore umano e vicinanza fisica, di guardare negli occhi e stringere mani. Non sono l'unica cui accade questo, il tutto è stato affiancato da lunghe conversazioni e prese d'atto con alcuni amici di rete (e in 3D, ci mancherebbe). Il tutto per dire che sparisco di nuovo per un po'. Ma poi torno, keine Sorge, ich komme wieder.

P.S.: A chi mi legge silenzioso (e non commenta): io continuo ad esserci, ma per chi se lo merita.



10.7.06


Campioni del mondo
(shakerato, rimixato e strillato quattro volte)!



Nell'82 Ecatina era ancora minorenne. Ma quel triplice "campioni del mondo", con l'entusiasmo che la voce di Nando Martellini ha donato ad una vittoria epocale, se lo ricorda ancora. Con lui accanto, con la sicurezza che mai avrebbe avuto paura di nulla, con accanto lui. Ieri invece ha scelto di stare in altro modo 'in famiglia': (con forse un pizzico di masochismo) con amici tifosi dei Blu. E ha dovuto soffocare un po' l'entusiasmo. E con lei un nuovo diciassettenne, palesemente contento, con quel suo vocione romanesco e l'inno 'ar Pupone', che l'ha fatta sentire un'altra volta ragazzina. Doppio entusiasmo, gli azzurri e una ventata di adolescenza (Grazie, James!). Bene. Qui posso finalmente a squarciagola: Forza AZZURRI (ed Ecatina, aussi)!!!

Ah, e Zizou: adieu (anche qui: quando ce vò ce vò) ...



7.7.06


L''interpretazione autentica'



Gli è che a noi giuristi proprio piacciono i paroloni. Quelli del titolo alludono alla possibilità, per chi emette un atto (sia il legislatore, sia un ministero, sia l'autore di un contratto e via elencando), di tornarci su e spiegarne esattamente il significato (in caso di ambiguità). Bene. Qui c'è l'interpretazione autentica dello spirito dei mondiali in Germania (che poi vi crediate o meno, fatti vostri). E' vero che giornalacci nazionalpopolari (crucchi) hanno titolato "Disertiamo le pizzerie", o addirittura "Tutta colpa della mafia". E' vero che si è giocato a più riprese a prenderci in giro (anche la sottoscritta, via mail con colleghi teutoni pervero molto sportivi). Però. IO so qual era il clima (e chi legge - o crede - solo a titolacci neocon diffusi dalle nostre parti per qualche connerie nazionalprovinciale di troppo, difficilmente può intendere). Ecatina si è goduta alcuni frammenti di partite gomito a gomito con tedeschi, portoghesi, francesi, bevendo Koelsch o Helles in birrerie all'aperto. Ha scambiato commenti e incitazioni reciproche con sconosciuti di altre nazioni. Ha riso e scherzato, si è improvvisata addirittura esperta di semifinali e fuorigioco, con discussioni gradevoli e sempre civili. Il clima, quello di grandi città come Colonia e Monaco, era di festa internazionale (assai simile alle Giornate della Gioventù romane godute nell'agosto del 2000). I giornali seri, quelli dell'avvertita sinistra tedesca, Der Spiegel, tanto per far nomi e cognomi, ridono con ironia della sindrome da post-semifinale dei connazionali. Ché si tratta di un popolo cui la storia ha vietato per sempre di esprimere sentimenti patriottici, cancellando addirittura pezzi dell'inno nazionale. Dove le bandiere, anche stavolta, erano esposte con discrezione - e assieme a quelle del Brasile, della Francia, del Togo, e anche di quest'itaglietta abituata a fare nguè nguè appena le fanno la bua.

Lo so, lo so, a volte mi prende il morbo dell'Acidosignore. Però quanno ce vò ce vò.



5.7.06


WIR fahren nach Berlin*



* E' quel che ho appena detto a lui, con cui ho avuto il privilegio di condividere alcuni frammenti dell'atmosfera cruccone dei mondiali. "Wir fahren nach Berlin": noi andremo a Berlino (canzoncina cantata dagli amici teutoni) - solo che non loro, ma NOI. Tsé.



4.7.06


Rientri



La luce, soprattutto di questo si tratta, è la luce. Tocchi il tuo suolo e ti illumini, quasi la tua terra (ché sì, è ormai mia questa terra fatta di chiari e scuri e ombre e vento) ti trasfigurasse. E le voci delle persone care. Che sono anche loro portatrici di luce. Che ogni due giorni - eri appena partita - ti chiedevano quanto mancasse al ritorno. Ti illumina tutto. Sei qui. Era ora.

So che ho già scritto della luce, lo so ...