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La rete ha qualcosa di magico. Connette, contamina, diffonde. Confonde. Questo è un nodo fra tanti, per aggiungere magia a magia.


5.6.04


Does the end justify the means?


Più che da ricerca seria questo mi sembra realmente un aneddoto da blog. Lo rinvengo nella traduzione che sto affrontando, è tutto – in ogni caso – già documentato (HENSSLER, Risiko als Vertragsgegenstand, Tübingen 1994, 461 s.). Un teologo tedesco sfidò nel 1905 con pubblico bando (e con ricompensa di 2000 fiorini d’oro) gli studiosi della sua epoca a portare la prova che, in un qualsiasi scritto di un gesuita, vi fossero argomentazioni in favore della massima “il fine giustifica i mezzi”. La sfida finì in lite presso un tribunale, in quanto il teologo non intendeva accogliere le argomentazioni di altro fine studioso (il quale ovviamente affermava di avere la prova provata dell’esistenza di simili affermazioni anche presso i gesuiti). Il tribunale respinse l’azione del fine studioso, che reclamava la ricompensa, sostenendo che la fattispecie fosse da configurarsi come debito di gioco (e non, come sostenuto da molti, quale ‘promessa al pubblico’) – e, in quanto tale, non meritevole di tutela giuridica (chi ha dei dubbi dia un’occhiata al nostro art. 1933 c.c.). In ogni caso la frase Cum finis est licitus, etiam media sunt licita era stata utilizzata già intorno al 1650 dal gesuita Hermann Busembaum (Medulla theologiae moralis, Münster 1650). Con Google sarebbe stato uno scherzo …